Bold and Proud: Axel

Photography Irene Gittarelli
Styling  Emi  Marchionni
Grooming Chiara Gattellaro @SimoneBelliMakeUp

DIGITAL COVER STORY
Axel wears coat Martino Midali belt Oblìque Creations

Interview Alice Mazzali

Axel ha 21 anni, è un artista emergente e ha un sorriso luminoso. L’anno scorso è uscito il singolo “Bad bitch”, e presto uscirà “Cupido”, il suo primo album. Qualche giorno fa ci siamo conosciuti e abbiamo parlato di futuro, di razzismo, di Beyoncé, di libertà, di musica e linguaggi. Axel è gentile, mite e poi in un attimo spavaldo, grintoso, determinato. È sprezzante e autoironico, riflessivo e dolce. Proprio come la sua musica. Forse è il primo rapper queer in Italia. 

Ciao Axel, raccontami di te.
Sono nato a Milano, principalmente faccio musica e sono un fotomodello. La musica mi accompagna fin da piccolo, mi permette di esprimermi e sfogarmi. Entrambi i veicoli – le foto e la musica – mi consentono di decidere e definire come voglio essere rappresentato. 

Perché, come vuoi essere rappresentato? Prova a dirmelo in una parola.
Ne uso due: sognatore eterno. I sogni e le passioni sono il carburante per andare avanti, non solo alla mia età.

Le foto che ti hanno scattato finora restituiscono questa immagine?
Sì, sono molto soddisfatto soprattutto perché da piccolo ero timido e ansioso, mentre, da quando ho fatto coming out, scelgo di rappresentarmi come voglio. Ora la mia immagine rispecchia ciò che sono veramente e intravedo questa libertà anche nelle foto che mi scattano. 

È sempre stato così semplice esprimerti?
No, prima facevo molta fatica. Da piccolo mi sentivo diverso, soffrivo di ansia sociale. Mi spaventava parlare, sentivo di dovermi nascondere o rimpicciolirmi. Ho fatto molta fatica ma poi, nell’estate del 2018, ho deciso di ricominciare la mia vita da capo, ho affrontato un percorso di crescita e studio di me stesso. Ora sono finalmente in grado di avere delle opinioni, di esprimerle, di parlare per me stesso e di usare la mia voce per ispirare delle persone. 

A chi ti ispiravi da piccolo? Avevi dei modelli?
Ho sempre trovato molta forza nelle donne. Il mio idolo è Beyoncé, trovo potente il suo modo di esprimere la sensualità e la sessualità. Penso a lei e a donne come Whitney Houston.

Sul tuo profilo Instagram ho visto molte fotografie in cui indossi abiti meravigliosi. Qual è il tuo rapporto con la moda?
Penso che la musica e l’immagine vadano di pari passo. La moda è sempre stata molto importante anche se per molti anni non ho avuto la possibilità di sperimentare con lo stile. Ora lo sto facendo e mi piace molto mischiare elementi tradizionalmente più maschili con altri più femminili. Non mi limito semplicemente all’etichetta, ma mi interessa in che modo quell’abito riesca a rappresentarmi. Un brand che mi piace molto è Mugler. 

Quindi vedi anche l’abbigliamento come un mezzo espressivo. È stato sempre così? 
Sì, mi sento diverso anche per quanto riguarda il modo di vestirmi. Mi dà un grande senso di ribellione e di potere usare gli abiti in modo dirompente. È però una cosa che faccio da poco. Quando ero più piccolo, mi vestivo più che altro per mostrarmi come volevo che gli altri mi percepissero, quindi indossavo abiti più maschili perché volevo sembrare un maschio etero. Invece adesso sono più libero e mi vesto in un certo modo perché mi piace, e per dire chi sono.

Ho visto che hai pubblicato un post in cui parli di com’è essere un ragazzo afroitaliano, spieghi che spesso non ti senti rappresentato e che i media parlano degli immigrati o per mettere in luce problemi e brutture o, al contrario, con compassione. Ti va di spiegarmi meglio il tuo punto di vista?
Io vivo a Monza, sono nato in Italia nel 2000. Alle elementari e alle medie ero l’unico ragazzo nero della scuola e ho sempre sentito la mia diversità rispetto ai compagni. Crescendo, poi, non ho mai visto – nemmeno in televisione – delle persone che mi somigliassero, con cui potermi identificare. Per questo sono un grande fan della cultura afroamericana. Lì ho trovato tanti punti di riferimento che da noi mancavano. Penso che la nostra generazione sia quella che sta cambiando un po’ le cose. C’è comunque un grande lavoro da fare sui mass media perché quando accendi la televisione e si parla di una persona nera spesso vengono messi in luce fatti di cronaca, il più delle volte negativi e raramente si racconta di chi ha fatto qualcosa di bello. Io conosco molti artisti e atleti che non hanno la possibilità di far sentire la loro voce. Sui social la situazione sta migliorando, lì però capita che molte tematiche vengano trattate con superficialità. Penso sia più importante lavorare su certi aspetti nella vita vera. Il problema è la concezione di razzismo. 

In cosa consiste il razzismo oggi secondo te? È cambiato rispetto a qualche decennio fa?
Certo, è cambiato molto. Oggi per fortuna sono rari i casi di violenza eclatante, è vero. Molti però hanno interiorizzato il razzismo, sta nelle frasi, nei modi, nelle scelte, negli sguardi. A volte mi capita di dover spiegare che non è scomparso. 

Cosa succede nel video musicale di “Foreplay” by David Blanck e Chantal? Com’è stato partecipare?
È stata una delle prime esperienze che ho fatto su un set musicale importante. Mi è piaciuto vedere tante persone così diverse, piene di vita e voglia di diffondere il loro messaggio. C’erano molto amore e spontaneità. David è una persona fantastica, che ha voglia di combattere le ingiustizie. Sono innamorato di quel video. 

Raccontami i progetti musicali realizzati finora e quelli in programma per il futuro.
Ho iniziato facendo musica rap, un genere dominato dagli uomini. Mi piaceva il fatto di inserirmi in un ambiente di quel tipo e di mettermi alla prova, dovendo dimostrare il mio talento. Sono contento di come sta andando. Penso di portare qualcosa di diverso alla scena musicale, in cui purtroppo mancano artisti rap lgbtqia+ e se ci sono la loro presenza è velata, non esplicita. Da circa sei mesi sto lavorando al mio nuovo album, si chiama “Cupido”. Sto imparando a conoscere me stesso, dal punto di vista musicale ed emotivo. Sto provando a esplorare il linguaggio. Di solito è tutto molto legato al mondo del sesso, come se l’essere gay fosse completamente la nostra personalità. Io sto provando ad affrontare anche altre tematiche.

Possiamo dire che sei il primo rapper queer in Italia?
Non so se sono il primo. Sono sicuro che ce ne siano altri, il problema è che non abbiamo visibilità. Magari sarò il primo ad avere un certo riscontro commerciale! Lo spero, ma allo stesso tempo credo che l’ambiente gay sia pieno di persone talentuose, che devono solo trovare il modo di uscire.

Come fai a conciliare il linguaggio proprio del rap – di solito molto duro, crudo – che ormai hai fatto tuo, con una delicatezza di fondo, che ti appartiene allo stesso modo? 
In questo ambiente rischio di essere sottovalutato a causa della mia immagine, devo andare tre volte più forte degli altri per impormi. Per questo motivo ho voglia di andare oltre quel linguaggio crudo. Allo stesso tempo, però, mi interessa l’autenticità e mettere in mostra anche la parte più delicata di me. Provo a fare entrambe le cose. Vuoi parlarmi dei tuoi primi progetti? Ho iniziato cantando in inglese, lo facevo perché mi piaceva, non perché avessi progetti professionali. L’anno scorso ho pubblicato “Bad Bitch”, il mio primo singolo in italiano. Ho cambiato lingua perché volevo che tutti qui capissero quello che avevo da dire. In quel caso ho ricevuto diversi apprezzamenti, molti mi hanno detto che li faceva sentire liberi. Il giorno dopo ho fatto il mio primo live, vedere l’energia delle persone che apprezzavano il progetto mi ha spinto mentalmente verso questo sogno.

Qual è la tua idea di esistenza fluida? Mi sembra che questo concetto emerga bene da te, dalle cose che scrivi e dal tuo modo di stare al mondo.
La fluidità ti spinge a non seguire un’etichetta, ti dà la possibilità di conoscere lati più profondi senza avere paura. È difficile entrare in contatto con le nostre emozioni più profonde e la nostra parte più delicata. Esistere in modo fluido mi permette di conoscermi appieno. Non voglio avere segreti con me stesso. Vorrei che quando ero piccolo mi avessero detto di cercare l’autenticità. Porta pace mentale e fisica. A volte il mondo può sembrare molto duro, crudele. Io stesso quando stavo per fare coming out pensavo “adesso nessuno mi vorrà più bene, non mi parleranno più”, invece adesso ogni sera prima di andare a dormire ringrazio di averlo fatto perché non c’è sensazione più bella di sapere di stare affrontando il mondo per come si è veramente, con quello che si ha da offrire. Non c’è comfort zone che possa ripagare questa sensazione.

Fingi che io abbia una rubrica telefonica con il numero di tutte le persone del mondo e potessi dartene uno. Chi chiameresti?
Beyoncé, ovviamente! La chiamerei perché durante tutti gli anni in cui sono stato silenzioso, ho avuto paura di esprimermi e provavo a sparire, quando tornavo a casa e mettevo le cuffie, ascoltavo i suoi album e lei c’era, era lì, era diventata quasi una persona fisica. Lì per me quando ne avevo bisogno. La chiamerei solo per ringraziarla di essere stata presente. E poi, se mi desse anche qualche consiglio… 

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