Photography Paolo Cenciarelli
Styling Emi Marchionni
Grooming Dafne Rebaudo
Photography assistant Francesco Quinziato
Miguel @LorellaDiCarlo
DIGITAL COVER STORY
Miguel Gobbo Diaz wears jacket and trousers Carlo Pignatelli, sleeves Hui, boots Baldinini
Interview Giada Quaranta
Quali sono le sensazioni più forti che hai provato grazie al tuo lavoro? Consiglieresti a tutti di mettersi in gioco con la recitazione, anche a livello amatoriale?
Vorrei iniziare rispondendo alla seconda domanda: sono del parere che in ogni scuola ci dovrebbe essere un corso di recitazione. Il teatro aiuta ad aprirsi, a condividere e tirare fuori tante emozioni solitamente difficili da esternare, soprattutto a scuola. La recitazione insegna a mettersi nei panni degli altri e può aiutare molte persone non solo a emergere, ma anche a scoprire nuove dimensioni: il teatro, che è innanzitutto una ricerca di se stessi, aiuta in ogni caso a trovare un equilibrio nel rapporto con il sé e con gli altri. Per quanto riguarda le emozioni più forti legate alla recitazione, per me recitare è sempre e comunque una passione, una forma di amore: significa mettersi a disposizione di un altro personaggio, di un’altra vita. Così facendo, la storia di un altro emerge da te e si crea qualcosa di nuovo e molto personale. Poi, naturalmente, c’è l’emozione di quando hai il pubblico a teatro oppure di quando qualcuno che segue i tuoi progetti di cinema o serie ti riconosce e si complimenta: è un insieme di cose belle che emozionano e danno tante soddisfazioni, rende sempre molto grati essere apprezzati per qualcosa che ami, è indescrivibile.
La tua passione per la recitazione è nata durante l’adolescenza, tra i banchi di scuola. A quell’età, prima di trasferirti a Roma, avevi dei modelli, degli attori o altri artisti cui ti ispiravi? Oggi, invece, chi è di ispirazione per te?
Quando ero adolescente mi piacevano tanto i film di Denzel Washington. Poi guardavo molto Bud Spencer e Terence Hill, sono cresciuto con loro. La comicità, la lotta… era una comicità molto sottile, raffinata, mi conquistava sempre. I loro film in tv mi svoltavano la serata e volevo assolutamente vederli per intero, anche se ero un ragazzino e dovevo andare a dormire presto per svegliami alle sei il giorno dopo. Quando ero piccolo, insieme a loro c’erano anche Eddie Murphy e Will Smith. All’epoca avevo una consapevolezza diversa e non avevo ancora deciso di intraprendere questa professione. Crescendo, quando nel 2009 mi sono trasferito a Roma, nelle prime scuole che ho frequentato citavano spesso Denzel Washington. A volte per scherzo mi chiamavano Denzel: tutti questi riferimenti piano piano sono entrati dentro di me, donandomi una consapevolezza. Ho studiato la sua filmografia e conosco ogni suo particolare, per me Denzel è il modello dell’attore che non ha bisogno di dimostrare o difendersi. È talmente puro che viene tutto da sé: ha un rispetto, un’autostima e un carisma incredibili per me. C’è poi Sidney Poitier, l’idolo di Denzel, che ho studiato moltissimo. È bello che ci sia una ciclicità per cui anche i più grandi hanno avuto dei modelli
La terza stagione di “Nero a metà” ha avuto moltissimo successo. In questa fiction, forse il tuo lavoro più famoso, interpreti il ruolo di un poliziotto buono. Qual è il tuo rapporto con il personaggio di Malik e come ti fa sentire l’idea di rappresentare per primo nella televisione italiana il ruolo di un poliziotto non bianco?
Il mio rapporto con Malik è bello, altrimenti sarebbe un problema! Io e Malik siamo cresciuti insieme, io ho imparato tanto da lui, lui ha imparato tantissimo da me; è stato un susseguirsi di crescite ed evoluzioni. Per adesso è il personaggio più importante, quello che mi ha dato più di tutti. Rappresentare un personaggio come quello di Malik è stato uno dei miei obiettivi. Quando mi sono trasferito a Roma per studiare teatro, di attori neri eravamo solo due. Eravamo pochi e non c’erano ruoli, mi hanno detto che non c’erano possibilità per me: ho voluto dimostrare il contrario. Ho sempre sognato di essere il primo a fare qualcosa di importante, è successo nella serialità e ne sono molto felice. Ringrazio tutte le persone che mi hanno dato questa opportunità, ringrazio “Nero a metà”, la Rai, Marco Pontecorvo, Claudio Amendola e tutto il cast. È bello sapere che finalmente c’è stato modo di dare una svolta anche nella serialità di racconto. Non ci dimentichiamo, però, che si può e si deve fare ovviamente ancora di più: bisogna continuare a scrivere, a raccontare e a evolversi per dare a molti altri nuove possibilità. Vedo questa fiction come un punto di partenza per arrivare ancora più in alto e lontano.
Oltre ai film e alle fiction, ti sei dedicato anche al teatro e al doppiaggio: ricordiamo lo spettacolo “Fuori gioco – The pass” e il doppiaggio del personaggio di Marc in “Ron – Un amico fuori programma”. Come sono stati per te questi due incarichi?
Il doppiaggio è incredibile! Doppiare un film d’animazione è stato uno dei miei obiettivi, un altro dei sogni che volevo realizzare. Creare la voce di un personaggio è sempre molto bello, stimola la mia creatività. Questo lavoro mi ha reso felice e spero ne arrivino altri. Sento di dare la giusta importanza a ogni progetto, è importante comunque essere contenti di ciò che arriva, di poter dare un contributo all’evoluzione del cinema, della serie e del doppiaggio. Anche l’esperienza di “Fuori gioco – The pass” è stata bellissima e spero veramente che quello spettacolo viva altri giorni. Con Eduardo Purgatori, per me grandissimo amico e collega, ho sentito di avere la responsabilità di trovare il modo per raccontare, attraverso il teatro, l’importante tema dell’omosessualità, centrale nello spettacolo, con la sensibilità adeguata.
Considerata anche la diversità delle varie esperienze, c’è qualcosa di peculiare del teatro, della fiction, del doppiaggio o del cinema che preferisci, che per te è particolarmente emozionante?
A me piace, in ogni tipo di lavoro, far emergere le tematiche di ingiustizia. Mi piace quando, nelle storie in cui recito, chi subisce un’ingiustizia ha poi il suo riscatto, la sua vittoria. Non parlo di un riscatto in senso vendicativo, bensì della vittoria di chi, pur avendo affrontato tanti ostacoli, è riuscito, con positività e coraggio, a continuare a seguire i suoi obiettivi, cercando di imparare anche dal dramma. È bello quando, anche dopo una grande vittoria, i personaggi celebrano la vita con serenità, riescono a trovare la bellezza anche nelle piccole cose e sono grati dell’amore che ricevono da chi hanno accanto. Noi viviamo anche grazie alle persone che ci circondano: quando si crea un circolo di positività e di stima reciproca sento di poter raggiungere l’universo!
“Fuori gioco – The pass”, spettacolo che racconta della volontà di esprimere se stessi e di seguire i propri sentimenti e, allo stesso tempo, delle difficoltà imposte da una società ancora carica di paura e pregiudizi, fa riflettere sul tabù dell’omosessualità nel mondo del calcio. La vicenda nasce da un bacio inaspettato tra due giovani calciatori per poi mostrare, nel corso di un decennio, i diversi epiloghi delle vite dei due personaggi protagonisti. Questa non è l’unica occasione in cui il personaggio da te interpretato si ritrova ad affrontare pregiudizi e paura. Come ti fa sentire impersonare queste parti e trasmettere messaggi di libertà, amore e coraggio?
Sento che è molto importante avere il coraggio di tirare fuori se stessi: spesso è difficile, anche per me, dire quello che si sente o si pensa per paura. Quando i personaggi dicono quello che vogliono, possono essere un esempio per noi. Per questo motivo dico spesso che ho imparato da Malik a dire le cose, a non tenermele dentro, oltre che a credere in me stesso. Il personaggio da me interpretato in “Fuori gioco – The pass”, Ade, ha deciso di essere onesto con se stesso e, anche dopo aver scelto di condurre una vita “normale”, non da calciatore professionista, era sereno. L’altro personaggio, Cristian, pur avendo raggiunto un grandissimo successo ha mentito a se stesso per tutta la vita. Cristian viveva logorato dentro, completamente distrutto da un’esistenza costruita nella menzogna. Ho avuto alcuni amici che hanno sofferto molto perché non avevano il coraggio di dire quello che erano. È importante sentirsi sicuri di sé per stare bene poi con gli altri e, allo stesso tempo, avere vicino persone che ci stimano per ciò che siamo realmente.
Come “Fuori Gioco – The pass”, anche “Ron” racconta storie di personaggi molto giovani: oltre a Barney, il piccolo protagonista che vive una condizione di emarginazione per poi scoprire la gioia dell’amicizia, c’è il personaggio da te doppiato, Marc, il giovane CEO dell’azienda di B-bot che crede e difende le amicizie vere, stravaganti e includenti. Come pensi che si sentirebbe il te adolescente nello scoprire tutte le cose belle che fai oggi e i messaggi che spesso i tuoi personaggi trasmettono?
Credo che sarebbe strafelice! Il me adolescente era un ragazzino pieno di energie e fiducia, ma, allo stesso tempo, era un ragazzino pieno di paure, tanto tanto timido. Immagino che il me adolescente potrebbe dirmi: “Grande! Bellissimo lavoro! È davvero bello che sei arrivato fino a qui!”. Avrei bisogno della sua energia, penso che me la darebbe tutta per affrontare quello che c’è nella vita adesso. Bisogna sempre vivere col nostro bambino interiore e con la sana follia di buttarsi nelle cose belle.
Come ti fa sentire il pensiero di poter essere tu, oggi, di ispirazione per qualcuno e di poter regalare un po’ di speranza e fiducia a chi oggi è molto giovane e, forse, è costretto a sentirsi giudicato e marginalizzato nei vari contesti in cui purtroppo sono presenti forme di discriminazione?
Io sento che tutti ci siamo sentiti almeno una volta giudicati, in primis dagli adulti. Magari un giorno ci comporteremo nello stesso modo, spero di no. Di recente mi è capitato di parlare con ragazzi che vogliono intraprendere la mia professione e mi sono sentito di consigliare loro di credere davvero tanto nei loro sogni e obiettivi. Ci sarà sempre chi dirà che è una fatica inutile, che l’impegno e i sacrifici non serviranno a nulla: ma, se non adesso, quando lo farete? È importante avere la determinazione di dimostrare come stanno le cose a coloro che ci volevano senza possibilità. Spesso, poi, tendiamo a creare su noi stessi dei giudizi negativi infondati, non riuscendo a sentirci liberi di esprimerci. Quando sono andato alla scuola di recitazione a Londra avevo paura di non essere adatto, mi vergognavo del mio inglese allora non perfetto. In realtà, poi, mi sono ritrovato con attori bravissimi, i quali avevano lavorato in “Peaky Blinders” e in “Sex Education” e io potevo recitare nella massima felicità, senza giudizio: ho sentito che con la determinazione giusta prima o poi le cose arrivano. Mi sento di ricordare, quindi, che se si ha un progetto, un sogno, è importante perseguirlo, anche a costo di sbagliare. Io, poi, ho deciso di non pensare mai a un piano B, nonostante i rischi: mi piace dedicare tutta la mia energia a un sogno e anche se non so come andrà, voglio inseguirlo.