Photography Domenico Cennamo
Styling Emi Marchionni
Grooming Sofia Innocenzi
Giacomo Giorgio @LaPalumboComunicazione
DIGITAL COVER STORY
Giacomo Giorgio wears Jacket and trousers Maison Laponte, jewels Acchitto, hat stylist own
Interview Marco Natola
Giacomo Giorgio, nato a Napoli nel 1998, è un attore. Inizia a recitare fin da giovanissimo e ad oggi vanta diverse esperienze cinematografiche e televisive, tra queste c’è anche una parte in una importante coproduzione internazionale. Prima di arrivare sul set fotografico ci siamo incontrati per caso e abbiamo preso un caffè. Ci ha detto che le interviste lo mettono a disagio, in particolare quando gli si pongono
domande relative alla sua vita privata. Quello che a noi interessa sicuramente non è il gossip: vogliamo scoprire qualcosa sul mondo della recitazione e soprattutto capire quali sono, se ci sono, le difficoltà e le sfide che un giovane attore deve affrontare di fronte a un mondo tanto sfaccettato e complesso quale è appunto quello del cinema e della televisione.
Ciao Giacomo. Noi poco fa ci siamo conosciuti, quindi abbiamo già rotto il ghiaccio. Inizierei chiedendoti come è nato il tuo rapporto con la recitazione e cosa pensi di questa forma d’arte.
Ho iniziato a recitare quando avevo sei anni. Era uno spettacolo in cui in quattro minuti ho interpretato Pulcinella, a Napoli.
Da quel momento ho deciso di fare l’attore. Hai capito che quella sarebbe stata la tua strada.
Sì. Sentivo quella sensazione strana. Quel… posso usare un linguaggio poco forbito?
Come vuoi.
Mi stavo letteralmente cagando addosso, me lo ricordo benissimo nonostante fossi piccolo. Quella sensazione dietro le quinte, tutta quell’ansia da prestazione e poi il momento finale, quando poi ero sul palco… ero contentissimo. Da piccolo volevo fare un sacco di lavori, soprattutto volevo fare il supereroe. Ero convintissimo di essere Batman, proprio convintissimo.
Quando reciti oggi l’emozione è la stessa?
Sì.
Non è cambiato niente?
No, non è cambiato niente. Diciamo che l’emozione è la stessa di quando avevo sei anni. Non è che sia cambiato molto. Adesso quando entro in scena muoio di ansia, ho voglia di far bene. Arrivo sul palco o sul set ed è tutto magico, è come una droga. Entro in un loop e penso “è come una dipendenza”. La recitazione mi sembrava il più adatto tra tutti i lavori che volevo fare.
Credi che in Italia non riusciamo più a raccontare storie emozionanti come quelle che si raccontano negli Stati Uniti?