Photography Alessio Sarao
Styling Emi Marchionni
Make Up Eleonora Mantovani @SimoneBelliAgency
Hair Christian Vigliotta @makingbeauty.management
Vittoria @MonzoPiccirillo
Videography Davide Dilorenzo
Colorist Edoardo Marini
Sound Leonardo Ingala
DIGITAL COVER STORY
Vittoria Schisano wears all clothing Sportmax
Interview Serena Palmese
Conosco Vittoria perché da piccola la sua storia è entrata velocemente in casa mia. Entrambe dello stesso paesino, annusatrici di certi posti che spesso radicano troppo in fondo. Era per me l’eroina del coraggio, l’amazzone abile del salto agli ostacoli; ma essere forti significa anche soffrire, essere indecisi, temerari e a volte distruttibili. Vittoria l’ho vista prima, l’ho vista dopo, ho ascoltato la sua voce e la voce degli altri. Rumori assordanti mi hanno fatto riflettere sull’importanza delle cose invisibili. Tutti ci costruiamo un muro attorno e forse quello di Vittoria è un pochino più alto, eppure riesco a vederla benissimo. Insieme abbiamo parlato di scelte, di riconciliazioni, di voleri e poteri, di cambiamenti e parità.
Ciao Vittoria! Innanzitutto, come stai? Mi dicevi di essere nella tua casa di campagna. La natura riporta l’uomo alle sue origini e rappresenta un carburante per l’anima tanto che anche una passeggiata all’aria aperta è sufficiente a recuperare le energie per riconnettersi col mondo. Ma la vita di tutti i giorni può risultare estremamente stressante. Riconciliarsi con la natura ha per te anche un valore simbolico?
Ciao Serena, tutto bene! Sì, assolutamente sì. Avvicinarsi alla natura ha significato anche “diventare grande”, io l’ho scoperta un po’ prima del Covid. Col mio compagno abbiamo preso questa casa e non pensavo mi piacesse la campagna perché in realtà sono – o meglio mi credevo – molto cittadina. Quando ho lasciato Pomigliano d’Arco per trasferirmi a Roma, per ovvi motivi, ero una fan della città: gli studi di recitazione e tutto quello che gira intorno al mio lavoro mi piaceva molto. Poi, il Covid ha avuto anche dei risvolti positivi; come è capitato a tanti, mi sono guardata dentro e ho avuto la fortuna di viverlo insieme al mio compagno. Questa casa, per me una cornice, ha fatto la differenza perché ancora di più ho apprezzato l’importanza della Terra, dell’aria che respiriamo e del rispetto che è necessario coltivare. Io ho sempre prestato molta attenzione all’ambiente e a tutto ciò che è sano e sostenibile, però ovviamente crescendo si assume una consapevolezza diversa, capisci che il vero lusso e la vera ricchezza sono le cose che abbiamo a portata di mano.
Artribune è una delle testate di arte e cultura contemporanea più famose in Italia. Mi è capitato di ascoltare la puntata del podcast Contemporaneamente in cui sei presente anche tu ̶podcast pensato per la rivista citata in precedenza ̶a cura di Mariantonietta Firmani. Parlando di arte e natura, o più specificamente di ambiente e degli ultimi “attacchi alle opere” dei movimenti ambientalisti, dove pensi che porteranno gesti così estremi?
Gesti del genere sicuramente non portano all’ascolto. Io sono convinta che ogni battaglia è molto più efficace se fatta sottovoce, con garbo ed educazione. Urlare è il miglior modo per non farsi ascoltare. Quando ho visto quella protesta e quelle opere imbrattate, mi sono davvero molto risentita. Persone che chiedono rispetto per l’ambiente non possono non portare rispetto all’arte, quindi l’ho trovata anche un po’ “stonata” come protesta. Se io voglio salvaguardare l’ambiente, faccio la mia rivoluzione magari pulendo le spiagge, raccogliendo i rifiuti che qualche persona poco illuminata lascia per strada senza preoccuparsi della sostenibilità, ma sicuramente non andando a imbrattare o deturpare un’opera d’arte. Lo trovo più un atto fanatico che mira a smuovere l’opinione pubblica per essere notati.
Parliamo di parità di genere. Viviamo in un mondo in cui siamo in continua lotta per la parità. I valori di cui le donne sono portatrici non sono sufficientemente riconosciuti e apprezzati. Penso agli ostacoli per la parità salariale, alle domande scomode durante un colloquio di lavoro e di conseguenza la non-assunzione se si desidera diventare madre, la libertà di poter andare a letto con più uomini e non doversi necessariamente sentire una donna di basso rango. In un’intervista alle Belve tu dici: «Non mi sento paritaria ad un uomo. Voglio essere trattata come una donna. Credo nell’uguaglianza ma non nella parità». Ci spieghi meglio cosa significa per te parità di genere?
Intanto sono molto contenta di questa domanda perché qualcuno ha travisato la frase, dando alla mia risposta un significato completamente diverso. Io non credo nella parità ma nell’uguaglianza perché gli uomini e le donne sono diversi, e chi meglio di me può saperlo che ho scelto con tutta la mia forza di far parte della “categoria donna”? È ovvio che se sono da sola o ho accanto un uomo che non è all’altezza, faccio tutto da sola. Mi verso da bere da sola, monto la tenda da sola, mi risolvo la vita da sola. Io parlavo di galanteria e rispetto per la donna, non come sesso debole perché credo proprio sia il sesso forte. Credo che la parità sia più un’invenzione degli uomini, i quali hanno dato un significato diverso a quello che la donna intendeva per parità. Adesso l’uomo per parità intende cose come “lavoriamo tutti e due”, “portiamo la casa avanti tutti e due”, “non ti verso da bere, non ti apro la porta” tendendo a trasformarci in madri e smettendo di essere uomini. In realtà io intendevo l’esatto contrario. Se per parità o per uguaglianza intendiamo una paga equivalente, se rivestiamo lo stesso tipo di ruolo, o scegliere di essere madre, o ancora scegliere di andare a letto con più uomini ed essere libera di farlo oltre il pregiudizio, è ovvio che lo penso. Ci mancherebbe altro! Io intendevo dire che non dobbiamo travisare tutto questo con il “sono uguale a un uomo”, perché non lo sono. Sono una donna, e una donna e un uomo non saranno mai uguali.
Negli ultimi anni, nel mondo dello spettacolo e soprattutto nel macro mondo delle serie tv, si assiste ai primi veri tentativi di normalizzare la presenza delle persone LGBT sugli schermi. Penso al personaggio di Nomi Marks in Sense8, a Jules in Euphoria, a Ellen attualmente Elliot Page in The Umbrella Academy, penso a Pose in cui è viva la presenza di tante attrici transgender. Insomma essere rappresentati oggi significa avere la possibilità di riconoscersi. Quanto è importante lo spazio che si prendono oggi i ruoli LGBT che finalmente non sono più marginali, ma spesso veri protagonisti?
È fondamentale. Il cinema, e in questo momento le serie tv, hanno un potere davvero centrale perché in un periodo storico, politico e culturale così delicato come questo, dove la politica non è all’altezza e la scuola non ha gli strumenti, e le famiglie spesso non sono in grado di capire chi sono i loro figli, il cinema e le storie che guardiamo sono la vera istruzione pubblica, il vero servizio sociale. Solo guardando certe storie i ragazzi possono riconoscersi e sapere che non sono soli al mondo, mentre i genitori possono capire meglio chi sono i loro figli; che non c’è niente di anormale in come si è. Queste storie che, a differenza di qualche tempo fa, servivano solo a fare share, adesso sono centrali e io aggiungerei… per fortuna! Sono la prima che spesso in passato si è battuta anche con qualche giornalista a causa di interviste “poco illuminate” sotto titoli come “l’attrice transgender Vittoria Schisano…” e io ovviamente ci restavo male. Non perché mi vergognavo di quella che sono stata – anzi ne vado molto orgogliosa – ma non mi sembra di aver mai letto «l’attrice cisgneder Kasia Smutniak…». Non capisco perché bisogna sempre sottolineare questa cosa. Fino a quando ci saranno titoli che continueranno a utilizzare degli appellativi, allora ci sarà sempre il bambino che si sentirà autorizzato a chiamare l’amichetto “frocio”.
Nella tua florida carriera da attrice c’è stato un ruolo che ti ha messo più a dura prova, o un’assegnazione in cui ti sei riconosciuta di più? Se potessi scegliere di essere protagonista assoluta di un prodotto cinematografico chi e cosa ti piacerebbe interpretare?
Sicuramente stiamo parlando di periodi diversi. Io ho preso parte a un film che a rivederlo oggi, mi sento in imbarazzo. Non mi piace averlo fatto perché è un film con una testimonianza opposta a quello di cui abbiamo parlato finora, parlo di Tutto tutto niente niente di Antonio Albanese. Nel film si parlava di un femminiello che doveva far ridere e basta, e se lo guardo oggi provo soggezione. Oggi sto rifiutando tantissime cose, ci sono tante novità meravigliose di cui non posso parlare ancora, ma sicuramente mi piacerebbe che un’attrice transessuale non interpretasse necessariamente, e quindi anch’io in prima linea, un ruolo appartenente alla categoria LGBT. È limitante e questo avviene comunque un po’ per tutti. Se ci fai caso, tanti attori fanno un po’ sempre se stessi in produzioni diverse. Chi sceglie di fare l’attore è anche perché ha il desiderio di vestire diverse vite e quindi mettersi alla prova. Perché non posso interpretare una suora? O una madre?
Essere fluidi equivale a non rientrare in nessuna categoria sessuale, o meglio non farsi rinchiudere in nessuna di esse. Cosa significa oggi essere fluidi nel mondo dello spettacolo?
In realtà bisognerebbe essere fluidi non solo nel mondo dello spettacolo, ma nel cervello e nella vita perché vuol dire essere aperti al nuovo, al diverso e a ciò che non conosciamo. Questo significa leggere, viaggiare, non aver paura di un colore di pelle diverso dal nostro, di un’estrazione sociale diversa dalla nostra. Essere fluido vuol dire darsi la possibilità di imparare sempre. Se fosse così facile non ci sarebbero né guerre né pregiudizi, o considerazioni ottuse e rabbia verso la vita. Vorrebbe dire volere per sé e gli altri le stesse identiche cose, gli stessi diritti e gli stessi doveri.
Spostiamoci sull’attuale scena politica. Le ultime elezioni hanno dirottato le sorti verso un governo di centro-destra (diciamo molto di destra), parecchio improntato sul concetto di famiglia tradizionale, di stampo fortemente cattolico, molto conservatore. Come pensi possano influire certi stigmi sull’attuale scena dello spettacolo e soprattutto in virtù di quelle conquiste che il mondo LGBT sta guadagnando? A tuo parere potrebbe essere un governo limitativo o le battaglie per l’uguaglianza, la lotta per i diritti, continueranno con naturalezza?
Io sono nata a Pomigliano d’Arco come ben sai, da un papà operaio e da una mamma sarta, in una famiglia fortemente cattolica e io stessa lo sono. Sono nata in una famiglia tradizionale e se c’è una cosa di cui sono assolutamente convinta è che la famiglia esiste dove esiste amore. Spero che certe idee politiche non influiscano su quelle che sono le direttive di comunicazione cinematografica e televisiva. Sicuramente non lo faranno sulle grosse piattaforme, perciò se la televisione di Stato non vuole restare indietro rispetto alla verità dei tempi nostri e alle generazioni a cui si rivolge, non può guardare inerme. Oggi per fortuna la società, i giovani, i bambini, le persone in generale, sono molto più avanti della politica stessa che molte volte, come l’istruzione, è lontana dalla strada, dai bisogni e dalle esigenze dei nostri figli e in realtà, per fare una buona politica, una buona informazione e una buona istruzione, basterebbe semplicemente essere vicini ai nostri figli. Così come fa il cinema, anche la politica deve garantire supporto e protezione a tutte queste persone che fra loro sono diverse. Fare una buona politica non vuol dire prendere le parti dell’uno a discapito dell’altro, o dare diritti agli uni per toglierli agli altri. Quando si parla di famiglia tradizionale, a me viene un sorriso amaro perché in realtà questa famiglia tradizionale di cui tanto si parla non la minaccia nessuno. Io stessa, che porto con me la mia storia, sono nata in una famiglia tradizionale e ambisco a una famiglia tradizionale, diventando moglie e madre. Ma comunque la mia storia potrebbe fare immaginare altro e invece non è così. Dare diritti a due persone dello stesso sesso di amarsi e mettere su famiglia non vuol dire cancellare un altro tipo di famiglia, vuol dire solo dare a tutti la possibilità di scegliere. Poi è normalissimo non piacere a tutti e avere delle idee diverse; se io non piaccio a te magari domani non ci sediamo allo stesso tavolo, ma è giusto avere entrambi la possibilità di sederci a due tavoli diversi nello stesso ristorante.
Entrambe siamo di Napoli, donne del sud dirottate verso nuove mete. Non è
campanilismo ma è risaputo come soprattutto i napoletani siano amatori della
propria terra, delle proprie radici, desiderosi di calore, legati a Partenope non solo
per semantica ma anche per la sua storia millenaria. Quanto hanno contato le tue
origini per la tua formazione culturale e caratteriale? Il bisogno di lasciare la tua
terra è derivato dalla voglia di crescere professionalmente, di studiare per diventare
ciò che sei o perché la camicia di una provincia aveva cominciato a starti stretta?
Le mie origini hanno sicuramente influito, perché è ovvio che io sia il frutto
dell’educazione data dai miei genitori ma anche il frutto di me stessa, e di tutte le
cose legate alla mia famiglia, ai miei genitori, al posto dove sono nata che mi
piacevano e porto sempre nel cuore; come le cose che non mi piacevano. Queste
ultime non sono state un limite bensì la spinta che mi ha permesso di trasferirmi in
una metropoli e affrontare tutta la fatica per avere oggi la vita e il lavoro che
sognavo da bambina. Sia come artista e quindi attrice, sia come persona: tutti quelli
che erano limiti in realtà poi sono diventati occasioni. Anche quando ho detto a mia
madre la verità su chi ero, lei ha avuto il peso e la paura del pregiudizio, cosa che
non c’è mai stata perché in realtà anche nei paesi c’è quella carnalità, quell’amore,
quella coscienza che ti fanno capire che una persona è buona a prescindere dalla
propria identità di genere. Il pettegolezzo c’è stato, ma c’è stato quando io stessa mi
mettevo nelle condizioni di alimentarlo perché non dicevo la verità. Quando tu non
dici la verità è ovvio che la vicina di casa si dà di gomito e dice “Secondo me è
così”. Ma quando tu per prima dici “Sì, è così, mi chiamavo Giuseppe, adesso sono
Vittoria” allora è lì che quelle chiacchiere vengono annullate, perché non c’è
nient’altro di cui parlare. E poi chi di noi può avere la presunzione e l’illusione di
piacere a tutti?
Ognuno disegna il proprio destino, la vita che vorrebbe, l’identità che sente di possedere. Preferiresti riuscire a trasformare le cose in realtà semplicemente disegnandole su un foglio, oppure farle sparire cancellandole con una gomma?
Considera bene tutte le variabili e le conseguenze. Io non credo che sia sano cancellare le cose: non ci rende delle persone piene né consapevoli. Certo, mi piacerebbe cancellare con un colpo di spugna l’ignoranza, la cattiveria, la violenza, la presunzione ma visto che non è possibile e non posso farlo, io mi auguro che sia sempre minore questa categoria di persone. Questo desiderio mi fa capire cosa non voglio essere e soprattutto che anche le difficoltà personali che io stessa ho avuto, mi hanno dato la forza di dire “Io voglio questo tipo di vita, voglio questo tipo di lavoro, voglio questo tipo di realtà per me stessa; mi impegno tutti i giorni e la otterrò, non smetterò fino a quando non ci riuscirò”. Perciò quando ho sentito ragazzi giovani dire “Non sono nata fortunata, non sono figlia di, vengo da un paesino” le ho considerate tutte cazzate. È vero tutto, ma questo non vuol dire niente, anzi è solo un punto di partenza. Datti da fare, impegnati e gioca tutte le tue carte per rendere migliore la tua vita. Lamentarsi e restare fermi è il più grande fallimento che una persona possa subire. Ecco perché non cancellerei nulla, ma utilizzerei quello che la vita dà nel modo giusto. Questo credo faccia la differenza tra una vita di successo e una vita banale.
Oggi la tua realtà supera la fantasia che hai avuto negli anni passati nel costruire Vittoria? Possiamo dire che il tuo disegno è completo o è ancora abbozzato?
Eh… ma la vita è lunga! Io ho un carattere un po’ faticoso, mi prefiggo un obiettivo e nel momento in cui lo raggiungo me lo godo giusto un attimo perché quell’obiettivo diventa subito un nuovo punto di partenza. Probabilmente sarà così anche per il resto della mia vita. Sono una persona che non si accontenta, sono ambiziosa e sognatrice. Non ci crederai, ma quando ero piccola, siccome non mi piaceva il mio corpo, non mi piaceva la mia cameretta, né tante altre cose della mia vita, andavo a dormire la sera sognando la stanza dei miei sogni, poi la casa dei miei sogni, il lavoro che volevo fare, di svegliarmi nel corpo che mi somigliava e apparteneva. E poi tutto questo l’ho realizzato. Quando ho detto a mio padre, operaio dell’Alfa Romeo, che volevo fare l’attrice, mi ha guardato pensando fossi pazza. Se avessi detto di voler andare su Marte sarebbe stato probabilmente più realizzabile dal suo punto di vista. Quindi sì, la mia vita ha superato di gran lunga quello che immaginavo quando avevo cinque anni ed è proprio per questo che l’esistenza è meravigliosa. La mia storia voglio che sia di insegnamento e incoraggiamento a tutte le persone e a tutti i piccoli Giuseppe. Noi possiamo essere chi vogliamo essere, sempre.