Pure and True: Gabriele Pizzurro

Photography Jordi A. Bello Tabbi
Styling Emi Marchionni
Grooming Ludovica Sechi

Gabriele @Soli&Associati

DIGITAL COVER STORY

Gabriele Pizzurro wears total look Maison Valentino

Interview Lorenzo Carnielo

“‘Ccu tuttu ca fora c’è ‘a guerra
Mi sentu stranizza d’amuri
L’amuri”
Franco Battiato – Stranizza d’amuri

 

Gabriele è nato nel 2004, ha iniziato a recitare in teatro a tre anni e ha appena debuttato sul grande schermo con “Stranizza d’amuri”, l’esordio alla regia di Giuseppe Fiorello.Il film si ispira liberamente al delitto di Giarre: la storia di due ragazzi, Giorgio e Antonio, che nel 1980 sono stati uccisi con due colpi di pistola alla testa perché si amavano – una tragedia che segnò un punto di svolta nel movimento di liberazione omosessuale italiano, portando alla fondazione del primo circolo Arcigay, a Palermo.“Stranizza d’amuri” è un film delicatissimo, che parla di colpe, di chiacchiere e di violenza, ma è soprattutto un film che parla d’amore, nella sua accezione più pura e naturale, che mette al centro l’amore, lasciando che tutto il resto sia contorno.E Gabriele, che interpreta uno dei due ragazzi, sullo schermo appare giovane e innamorato, preso da una stranezza d’amore alla quale neanche serve attribuire causa e nome.Il pubblico s’innamora insieme a lui, s’innamora della sua purezza, e fino all’ultimo minuto si convince, anche se conosce già il macabro epilogo della storia, che alla fine andrà tutto bene. 

Tu sei giovanissimo e, dopo tanto teatro, hai appena debuttato sul grande schermo con il film “Stranizza d’amuri”, regia di Giuseppe Fiorello. Qual è il percorso che ti ha portato fino a qui? Te l’aspettavi?
Ho sempre studiato teatro e sinceramente, fino a un certo momento della mia vita, non avrei mai pensato che un domani sarei arrivato al cinema: mi piaceva così tanto quello che facevo a teatro che mi bastava quello. A un certo punto però ho capito di volermi mettere in gioco, e quello è stato il momento di svolta nel mio percorso perché ho deciso di voler provare tutte le esperienze possibili nel campo dell’arte per crescere come persona e come artista. Quindi ho contattato un’agenzia che ha creduto in me fin da subito e che mi ha proposto diversi provini, e tra questi c’era quello per il film “Stranizza d’amuri”. Devo ammettere che non mi aspettavo di iniziare con un progetto così grande, ma sono sempre stato convinto che l’aver studiato così tanto fin da quand’ero piccolo mi avrebbe sicuramente portato prima o poi a fare qualcosa di bello, perché la passione ti spinge a superarti sempre di più, giorno dopo giorno – o almeno io funziono così.

Prima del film parliamo un attimo del teatro. Com’è stato il passaggio dal palco al set? E qual è, nella tua esperienza, la situazione attuale del teatro in Italia? Chi dice che il teatro è morto ha ragione?
Il passaggio dal palco al set è stato delicato e molto particolare. La differenza principale che ho riscontrato sta nel linguaggio e nel modo di interpretare i personaggi. Il teatro in Italia credo che abbia avuto un periodo di fermo, ma è stato inevitabile data la situazione che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Adesso noto che sta riprendendo forma, e questo mi rende contentissimo. Sono una persona che va molto spesso sia al cinema che a teatro, perché sono un grande osservatore e come una spugna assorbo sempre qualcosa da chiunque, perfino da un passante. Quindi andare a teatro per me significa studiare, ed è per questo che è così importante. 

“Stranizza d’amuri” è un film tratto da una storia vera: quella di Giorgio e Antonio che nel 1980 vicino a Catania (nel film Gianni e Nino, nel 1982 e in una Sicilia indefinita) sono stati uccisi con due colpi di pistola in testa perché si amavano. Tu interpreti Nino, un ragazzo di 16 anni che nel suo essere innamorato di un altro ragazzo nella Sicilia degli anni ‘80 è spensierato, sorridente e gofo nel più puro dei modi. Cosa ha significato per te dare voce a questo ruolo?
Per me è stato un grande onore. Devo dire che inizialmente mi ero caricato di tanta responsabilità, ma poi ho capito che dovevo rappresentare una cosa tanto semplice quanto fondamentale: l’amore. E così ho deciso di viverla come vivrei io, nella mia vita, una qualsiasi storia d’amore. Lì ho trovato la svolta nella costruzione del personaggio, perché ne è venuto fuori un racconto naturale e delicato. Nino è un personaggio che ha alcune cose simili a me ma, al di là di questo, ciò che ho voluto raccontare di più di questi ragazzi, quello su cui mi sono concentrato e che ho messo al centro del mio lavoro, è stato il coraggio che hanno avuto ad amarsi senza paura

C’è una scena o una battuta alla quale sei particolarmente af ezionato? Se sì, quale e perché?
Sì, ci sono diverse scene alle quali tengo molto: dalle scene con i fuochi d’artificio con mio padre, centrali nella storia, alla scena sul ponte con Gianni in cui gli dico: “io a tia nun ti vogghiu perdiri”. Quella battuta è quella che più mi è rimasta in testa. Ricordo che dopo aver girato la scena me la sono ripetuta in loop tra me e me per un sacco di tempo. Un’altra scena alla quale sono molto affezionato è la scena finale con zio Ciccio, in cui per la prima volta si apre con il mio personaggio e lo rassicura. Quella è la scena che rappresenta il cambio di pensiero di Nino, perché decide finalmente di andare incontro all’amore.

A proposito, una sottotrama bellissima del film è il rapporto tra Nino e suo padre. Anche questo, in qualche modo, è un amore gof o e sincero, di un padre di famiglia nella Sicilia degli anni ‘80 alle prese con la dolcezza di un figlio “troppo sensibile per quel mondo”. Ed è un rapporto che con tutti i problemi che si porta appresso risulta spesso molto sano, se paragonato ad altre realtà mostrate nel film. Che tipo di rapporto è quello tra Nino e suo padre? Cosa ci dice sugli altri personaggi?
Il rapporto tra Nino e Alfredo è un rapporto bellissimo: i due condividono la stessa passione, quella per i fuochi d’artificio. Appena ho letto la sceneggiatura e ho visto questa passione in comune ho subito trovato un punto di incontro con me. Anche io, come Nino, condivido la mia passione per la recitazione con mio padre. Anzi, è stato proprio lui a tramandarmela. Quindi ho provato fin dall’inizio un grande affetto per questo padre e per il rapporto con suo figlio, perché mi ricordava un po’ di me. Anche il rapporto che si è creato successivamente con l’attore che lo interpreta, Antonio De Matteo (un attore veramente bravissimo che per me è stato di grande ispirazione), è un rapporto bellissimo: ci aiutavamo molto in scena ed eravamo generosi l’uno con l’altro. Un altro personaggio che amo molto è Turi , interpretato da Alessio Simonetti, perché incarna chi per paura finge di essere altro da ciò che realmente è.

“Stranizza d’amuri” è un film fatto anche di silenzi. Il silenzio non è solo un contorno: riempie gli spazi, i dialoghi, i rapporti umani. S’inerpica dappertutto. Quale significato ha per te questo silenzio?
Il silenzio in questo film è un altro personaggio. Se devo essere sincero inizialmente non lo avevo capito, ma poi in fase di riprese tutto si fa sempre più chiaro, e nei giorni in cui io non giravo e andavo comunque sul set per imparare vedevo le scene degli altri miei colleghi attori e notavo, in particolare in una scena di dialogo tra Gianni (Samuele Segreto) e sua madre Lina (Simona Malato), quanto questo silenzio, questo parlare con gli occhi, fosse in realtà più eloquente di mille parole, e soprattutto quanto a volte fosse più importante parlare in questo modo piuttosto che con frasi o monologhi.

La prima cosa che ho notato cercando online il titolo “Stranizza d’amuri” è un af etto raro: in ogni angolo del web le persone fanno il tifo per te e per Nino, quasi come vivesse in te. A cosa pensi sia dovuto tutto questo affetto per questa storia?
In effetti questo film sta generando tanto amore, e sono veramente contento e allo stesso tempo stupito per tutto l’affetto che giornalmente ricevo tramite social o in giro: è una cosa nuova per me, ed è bellissima. Mi ha fatto capire quanto un film possa unire le persone, e sapere di aver fatto bene a qualcuno vale più di qualsiasi altra cosa. Sicuramente il modo in cui questo amore viene raccontato ha fatto affezionare le persone alla storia e ai personaggi, e in più la regia di Giuseppe Fiorello è molto delicata e dà modo alle persone di immedesimarsi in ciò che vedono. 

La storia di Gianni e Nino parla di un amore fluido, che non si incasella in una forma precisa perché semplicemente non ne ha bisogno. Come nella canzone di Battiato da cui il film prende il titolo, i due vengono presi da una stranezza d’amore, anche se fuori “si muore”, e non possono far nient’altro che amarsi. Allora si amano, goffamente, e tutto il resto è conseguenza. Quanto vale per te questa fluidità, questa purezza, applicata al contemporaneo, alle sue relazioni e al tuo modo di vedere il mondo?
La purezza è un qualcosa che secondo me tutti i ragazzi di oggi hanno, ma alcuni di loro hanno paura di mostrarla. Io nel mio piccolo cerco di essere sempre me stesso e di mostrare tutto di me, anche le infinite fragilità che ho, perché noto che il mondo e soprattutto la mia generazione ha paura a essere se stessa. Questo mi dispiace, perché la libertà è alla base del mondo, e quindi impegnarsi a essere chi si è veramente potrebbe contribuire alla costruzione di un mondo più buono e senza maschere

Qualcuno diceva – lo hanno detto in tanti, in verità – che una grande opera deve per forza scomodare qualcuno. Pensi che questo film possa farlo? E se sì, a cosa speri possa servire?
Io spero che questo film insegni alle persone ad amare liberamente, perché è importante capire che le storie d’amore, a prescindere dal fatto che ad amarsi siano due uomini, due donne o un uomo e una donna, devono essere libere e vissute liberamente, senza impedimenti. Penso che la visione di un film possa aiutare anche chi la pensa diversamente a cambiare idea. 

Tu dici sempre che non hai piani b. O fai l’attore, o fai l’attore. E lo dici con una convinzione invidiabile e toccante. Da dove arriva una passione così forte? Come si nutre? Come ci convivi?
Sì: questa è una delle poche convinzioni che ho nella vita, e tutto è nato perché mio padre me l’ha trasmessa. Possiamo dire che è partita da lui che fin da quand’ero piccolo mi faceva vedere e vivere la magia del teatro. Così, piano piano ho iniziato ad appassionarmi anche io fino a voler far diventare questa grande passione il mio lavoro. La passione però va nutrita, sempre. Io personalmente per farlo guardo tanti film (anche vecchi: sono un grande amatore del cinema di Pasolini, per esempio) e leggo tanti libri sullo studio dell’attore. Sono piccoli impegni che uno deve prendersi, perché secondo me è fondamentale continuare a studiare anche quando magari ci si sente già formati. E soprattutto bisogna essere curiosi e osservare il mondo: possiamo imparare qualcosa o prendere ispirazione da qualsiasi cosa, paradossalmente anche leggendo l’etichetta di una bottiglia d’acqua. 

Questa è la tua prima esperienza cinematografica, e immagino ne consegua un certo tipo di eccitazione e bellezza. Dopo tutta questa bellezza, quali sono i tuoi obiettivi? Dove speri ti porti il tuo lavoro?
Questa prima esperienza la porterò sempre nel cuore e spero di continuare ad avere sempre esperienze come questa, in cui l’unione tra le persone che la compongono generano l’unione di tante altre persone che la vedono. Tra le altre cose, non nego che un domani mi piacerebbe tornare a teatro, e magari farlo con una bella tournée di musical.

X