Photography Angelo Cricchi
Styling Giulio Cascini
Make Up and Hair Martina Origlia
Interview Anna Simone
Ci incontriamo in un pomeriggio di primavera presso il Lost and found Studio per fare questa intervista che diventerà subito un lungo e articolato dialogo tra generazioni diverse. Ad accomunarci l’essere entrambe donne che hanno scelto di fare della propria vita qualcosa di interessante e una frase di Fabrizio De Andrè che Maria Sofia sfoggia sulla sua t-shirt: “Dormi sepolto in un campo di grano, non è la rosa, non è il tulipano che ti fan veglia all’ombra dei fossi, ma sono mille papaveri rossi”. A dividerci, solo timide differenze esperenziali e un modo diverso di vivere il corpo e la rete. Ma si sa, riconoscere le esperienze altrui è sempre il primo passo attraverso cui generare relazioni.
La prima domanda che volevo farti è: cosa è la rete per te? Questa galassia immateriale in cui tutti possono dire di sé stessi, che significato ha nella tua esperienza e quando hai capito che potevi utilizzarla a tuo vantaggio veicolando dei contenuti. Il tuo ruolo di influencer, per esempio, è venuto da sé o hai avuto dei riferimenti a cui ti sei ispirata?
Per me la rete è la più grande opportunità sia dal punto di vista personale, sia da un punto di vista più idealistico, che si sia mai avuta nella storia dell’umanità. Per poter effettivamente fare la differenza ho sempre riflettuto molto su che cosa volesse dire essere un individuo ed esistere e quindi nel corso della mia vita mi sono resa conto che se io fossi nata, per esempio, centinaia di anni fa, non avrei potuto esprimere nemmeno uno straccio di opinione perché il sistema vigente all’epoca non permetteva una libertà tale. Invece, adesso con i social e con la connessione, perché rete significa anche questo, sento di poter vendicare tutte quelle persone che sono morte per la loro opinione divergente. Mi rendo conto di vivere in una società democratica dove tutto è concesso, mentre nelle altre parti del mondo non è così, pensiamo al caso Iran, ma con i social oggi si può fare tutto. Sono una persona introversa e trascorro la maggior parte del mio tempo nella mia stanzetta a pensare e ad astrarmi dalla realtà, non mi baso mai sulle cose così come sono, ma sempre su come potrebbero essere, ragiono sulle ingiustizie, sulle crudeltà senza senso. Se fossi nata quando la rete non c’era sarei rimasta schiacciata da tutto questo, invece ora posso reagire e veicolare altri contenuti.
Prima hai posto l’accento sul tuo essere “individuo”. La rete, effettivamente, è uno spazio, un luogo, molto individualista perché ognuno si autorappresenta in modo performativo per veicolare contenuti o semplicemente per apparire. Molti ragazzi e ragazze della tua generazione, invece, hanno dato vita a dei movimenti contro il climate change, penso a Greta Thunberg e ai Fridays for future, attraverso cui si veicolano contenuti collettivi. Perché tu hai scelto una via individuale e non hai pensato di vivere la tua esperienza di attivista sul veganesimo e contro gli allevamenti intensivi con gli altri ragazzi e ragazze che popolano le piazze negli ultimi anni?
Darò una risposta blanda, ma allo stesso tempo pratica perché quando ho iniziato a fare attivismo, cioè quando ho compiuto 14 anni, non sapevo che questi movimenti esistessero. Mi ripeto, ero molto alienata nella mia condizione di ragazzina immersa nei libri, immersa nelle proprie riflessioni e dunque ho cominciato a divulgare le mie posizioni da sola. Ma poi ho conosciuto dei movimenti molto forti e ho fatto anche cose con loro, ad esempio con Animal Save. Una volta, ad esempio, sono stata molto criticata perché ho portato un discorso con loro in un supermercato, dinanzi al banco della carne, per contestare le pratiche delle industrie zootecniche. Sono partita da sola, ma sono anche maturata e sicuramente faccio e farò anche cose con altre persone.
Torniamo sul punto inziale. E’ vero che la rete è una grande opportunità di democrazia, di orizzontalità, come dici tu, però è anche vero che essa è un luogo che mira a generarci, produrci, attraverso i suoi dispositivi. Quindi bisognerebbe anche riflettere su quanto giochiamo noi la rete e su quanto essa ci giochi. L’individualismo, ad esempio, la costruzione di contenuti senza contraddittorio, senza dialogo, senza incontro materiale con gli altri che sono sempre il nostro limite fisico, nella rete non c’è. Tu sei una influencer e un’attivista politica, ma la politica per esistere ha bisogno di dialoghi, contraddittorio ecc. Invece in rete abbiamo solo followers e pubblico, ovvero il contrario delle relazioni. Tu come lo vedi questo limite, questo problema? Per me che sono sociologa, ad esempio, sia la rete che l’individualismo sono dei sintomi di una società che non sta proprio benissimo proprio perché si fonda sull’Io-crazia, anziché sulla relazione e il legame sociale…
Trovo veramente interessante quello che hai detto sulla rete che ci plasma, mi hai ricordato un po’ quello che dice Heidegger e cioè che il linguaggio ha dei limiti, ed effettivamente la nostra realtà è composta da questi limiti, tipo il circolo ermeneutico nel senso che noi diamo un significato a qualcosa, ma quel qualcosa potrebbe anche non esistere.
Si, volevo dire che l’altro è il nostro limite, mentre la rete dematerializza, quindi è come se noi stessimo sempre in un set. E dunque quando l’altro è dematerializzato, non lo guardiamo in faccia, si perde la dimensione del “noi”….
Si, infatti questo si potrebbe tradurre con il fenomeno dei guru. Intendo dire che in rete ci sono persone così brave con la loro comunicazione populista da creare delle polarizzazioni, me ne accorgo quando mi addentro in alcune discussioni perché non mi sottraggo mai al dibattito. Questo accade anche nei circoli femministi. Alcune compagne che stimo professionalmente ed umanamente a volte hanno questo difetto, ad esempio, e dunque chi ha idee diverse spesso non viene preso sul serio. E’ giusto tutelare la propria safe zone, però allo stesso tempo se parliamo di un “noi” dobbiamo inevitabilmente anche scontrarci con chi ha idee diverse dalle nostre. Io cerco sempre di essere diplomatica e di esprimere le mie opinioni in modo molto articolato, ma spesso diventano parole su cui si costruiscono dei processi, come fossimo in un tribunale altamente individualizzato e senza contraddittorio. Si generano dei match tra noi e i followers, il pubblico. Un pubblico che ha già un’idea di base e spesso si genera anche l’idolatria o l’odio.
E pubblico e followers di solito non agevolano la relazione…inoltre spesso creano anche meccanismi di dipendenza psichica, oltre che qualcosa di “performante”, di “giudicante”, il tutto basato sempre sul narcisismo…
Si, certo, si ripercuotono i rapporti di potere. Infatti, a me è capitato di parlare con delle persone che magari avevano il doppio della mia età, soprattutto con uomini cisgender e sentire di non avere scampo. Posso argomentare al meglio possibile le mie posizioni, ma di fatto non passano. E’ vero che quel che può dire un uomo per me può essere letto come arroganza e dunque può valere anche per la mia eloquenza, però io detesto chi mi vede come un personaggio, anziché come una divulgatrice e una persona. E invece io vorrei essere presa sul serio solo per gli argomenti che trasmetto.
Arriviamo al femminismo. Tu hai cominciato veicolando contenuti sul sessismo, contro la violenza maschile sulle donne, l’anti-specismo ecc…E ti professi libera, però sappiamo anche che a volte per essere libere bisogna liberarsi da ciò che ci opprime. Quanto c’è di libertà e quanto invece di liberazione c’è in te? E cosa è per te il femminismo se dovessi definirlo?
In me non ci sono istanze di liberazione, ma solo di libertà. Peraltro, dal punto di vista logico e comunicativo non veicolo istanze personali, ma ragionamenti per liberare le categorie oppresse. Quando parlo di liberazione degli animali, non lo faccio perché mi dispiace per la vacca che viene macellata, ma perché reputo moralmente sbagliato che questo accada. Se vuoi è persino più nobile rivendicare giustizia per altri, in questo caso gli animali, anziché per sè stesse. Sono cause per cui combatto proprio perché il centro non sono io, la mia rabbia. Riduco l’egocentrismo se lotto per l’altro che soffre e questo approccio è uno dei miei punti fondanti.
Si, però tu ti consideri anche femminista e il femminismo parte da una presa di coscienza del sé, da un pensiero che parte dal corpo, dall’esperienza, non è un pensiero o un modo di stare al mondo che si occupa solo degli altri o almeno nelle sue origini è stato così…e dunque torniamo alla domanda di prima, cosa è per te il femminismo?
Intanto è sempre tutto in movimento. Ad esempio, rispetto agli argomenti vegani ora per me è così, ma potrebbe anche cambiare il mio modo di veicolare contenuti. Per me il femminismo è soprattutto una pratica intersezionale che deve tenere conto dei vari posizionamenti di classe, colore della pelle, orientamento sessuale, al fine di mettere tutte le persone nelle condizioni di potersi esprimere liberamente nel rispetto delle altre. Il mio femminismo è intersezionale proprio perché non escludente e non dannoso per altre categorie. Non perché creda ai compromessi, anzi sono molto radicale da questo punto di vista. Poi, certo, alla base ci deve essere l’ascolto, quantomeno in quello che io vorrei fosse il mondo ideale.
E poi, a un certo punto, hai incontrato il sex work. Quando, come e perché? Cosa ti ha portata a praticare su onlyfans e a veicolare anche contenuti che vanno in quella direzione?
In realtà non c’è mai stato un passaggio. E’ sempre stato così, dall’inizio. Il sex work mi piace molto perché mentre tutti parlano di “oggettivazione” del corpo femminile io mi sono chiesta: “Perché si parla di oggettivazione e poi chi si prostituisce sulle piattaforme o dal vivo per libera scelta non viene considerata un soggetto?”. Voglio dire che se la scelta parte da me e non è una costrizione fornire delle prestazioni sessuali, io divento un soggetto che sceglie e decide. Le molestie o ciò che per me è indesiderato mi oggettivano, ma se io scelgo di vendere me stessa sono un soggetto che ha una sua volontà. La critica che spesso mi viene mossa è che le persone abbonate alla mia pagina onlyfans non fanno questo ragionamento e mi vedono solo come una “sgualdrina” o “puttana”, parola che mi rivendico, però questo non è un mio problema e non è neanche una mia responsabilità. E’ molto maschilista pensare che io come sex worker mi stia oggettivando, invece penso che sia molto femminista fare questo lavoro perché me ne frego del pensiero degli uomini e di molte donne che hanno interiorizzato la misoginia. Inoltre, io divulgo molto su questo mettendo insieme l’attività commerciale con l’attivismo e su questo, dal mio punto di vista, si può arrivare a buoni risultati.
Sono d’accordo con il ragionamento che fai su oggettivazione e soggettivazione, ma è altrettanto vero un altro ragionamento. Se noi capiamo come va il mondo oggi ci accorgiamo, ad esempio, che tutto è merce compresi i pezzi del nostro corpo, le nostre emozioni, dalla vendita dei nostri dati sensibili ai Big Data a chi vende lo sperma perché povero, da chi vende il proprio rene per pagare i debiti a chi, appunto, fa il lavoro sessuale. Tu fai politica anche come sex worker, aderire a questa mercificazione ormai sistemica e onnipervasiva non ti mette in crisi?
Credo ci sia un problema di linguaggio e non è per sviare il discorso. Pensando all’aspetto più sostanziale della vicenda, ovvero cosa sono i soldi e cosa rappresentano, sento di dire che essi non sono nient’altro che un mezzo attraverso cui scambiare qualcosa. Ad esempio, prima c’era il baratto e ora c’è la moneta, dunque la mercificazione è ovunque. Quando vado a letto con qualcuno metto il mio corpo a disposizione, mi rapporto, dunque io do il mio corpo per ottenere qualcosa in cambio, ad esempio ammirazione. Pertanto, lo scambio c’è sempre.
Talvolta, però, ci può essere anche l’amore, la cura, qualcosa di gratuito. Insomma, non è che sempre siamo in una transazone, le persone si incontrano anche sulla base delle loro vite, accadono cose inspiegabili tra gli esseri umani, ad esempio non vorremmo amare qualcuno però accade che ci si trova ad amarlo comunque. Il desiderio non è sempre monetizzabile, la sessualità si, il godimento pure, ma l’amore no…
Ok, ma anche se io amo una persona e quindi mi do completamente a lei in maniera incondizionata, lo faccio perchè mi dà piacere e quindi anche questo è un atto egoistico. Per cui a parer mio il sex work non può essere visto proprio in questa chiave. Intendo dire che io in una relazione senza soldi dono me stessa a una persona comunque per raggiungere un obiettivo. Questo può essere anche fare del bene alla persona, quindi un gesto totalmente altruistico, però poi una componente di piacere da quell’altruismo viene sempre ricavata. Nel sex work, invece, io ottengo dei soldi che comunque a me portano piacere, per esempio a me servono per donarli e far costruire i rifugi per gli animali o per studiare cinema all’università. Io la vedo così, possiamo approfondire questo tema della mercificazione, però è un po’ distante da me.
P.s.: per l’intervista completa si veda…